L’”effetto alone” è un meccanismo psicologico molto frequente che spesso tendiamo ad adottare senza rendercene conto.
Consiste in una distorsione cognitiva che ci porta a generalizzare una sola qualità o caratteristica di una persona, di un oggetto o di un ambiente, espandendo la nostra valutazione relativa a quella sola caratteristica a tutta l’individuo o l’oggetto nella sua globalità e formulando il nostro giudizio anche su altri aspetti che in realtà non conosciamo.
Un esempio è considerare intelligente, a prima vista, una persona di bell’aspetto.
L’effetto alone tende a durare nel tempo facendoci mantenere l’idea che abbiamo di quella persona, fino a quando non ci imbattiamo in evidenti prove contrarie.
Come si può immaginare, l’effetto alone non avviene solamente per le caratteristiche positive ma anche per quelle negative pensando, ad esempio, che una persona brutta sia anche noiosa o poco socievole.
Fu lo psicologo psicologo Edward L. Thorndike, nel 1920, a coniare l’espressione “effetto alone”. Lo studioso fece alcune ricerche all’interno dell’esercito e osservò che gli ufficiali, ai quali venne chiesto di valutare i loro soldati in termini di qualità fisiche, intelletto, capacità di leadership e qualità personali, attribuivano caratteristiche positive ai loro sottoposti dopo che ne avevano scoperto una qualità positiva; oppure al contrario, attribuivano caratteristiche negative quando scoprivano una qualità negativa.
L’obiettivo di Thorndike era di vedere come la valutazione di una caratteristica influenzasse le altre.
Circa settant’anni dopo Nisbett e Wilson condussero un esperimento sull’effetto alone su due gruppi di studenti universitari.
Ad ogni gruppo fu mostrato il video di uno stesso professore in classe. I video si distinguevano per il modo di comportarsi del professore, in uno era cordiale e accogliente, nell’altro appariva severo, freddo e distaccato. Un video, quindi, mostrava le qualità positive del professore, l’altro video evidenziava le caratteristiche negative.
In seguito, agli studenti venne chiesto di descrivere l’aspetto fisico del professore ed è questa la parte più curiosa dell’esperimento.
Gli studenti che videro il lato “positivo” del professore, lo descrissero come una persona simpatica ed attraente, mentre quelli che videro le caratteristiche “negative” del professore, lo definirono con aggettivi poco gradevoli. E quando agli studenti venne chiesto se pensavano che l’atteggiamento del professore nel video potesse aver influenzato il loro giudizio sul suo aspetto fisico, risposero con un “no” secco, riferendo che i loro giudizi erano totalmente obiettivi.
L’effetto alone entra costantemente nella nostra quotidianità intervenendo sui nostri giudizi. A esempio è abilmente sfruttato soprattutto nell’ambito del marketing: si ricorre molto a questa tecnica per migliorare l’immagine di un prodotto e posizionare un brand sul mercato, enfatizzando elementi, tratti ed aspetti evidentemente piacevoli ad esso associati.
In conclusione, la realtà dell’effetto alone ci mostra quanto poco sappiamo su ciò che influenza il nostro giudizio sull’ambiente e sulle persone che ci circondano e come la nostra percezione iniziale possa rivelarsi talvolta affrettata, ingannevole e poco attendibile rispetto ad una valutazione più approfondita e ponderata.
Dr.ssa Alessandra Guerrieri, psicologa e psicoterapeuta.