Quando mi trovo a pensare o a parlare di un gruppo, l’immagine che subito mi viene in mente è quella di un amplificatore. Nel senso che il gruppo allarga, aumenta e amplifica tutto ciò che sta al suo interno. Nel gruppo le emozioni dei singoli si fondono e confondono a volte con quelle degli altri componenti, nutrendosi della viva presenza di ciascun membro.
Questo avviene nel bene e nel male.
Il gruppo è un elemento fondamentale per l’individuo, soprattutto per l’adolescente.
In alcuni articoli precedenti abbiamo parlato di come un adolescente attraversi un periodo di enorme cambiamento su molteplici fronti: da un punto di vista sociale, fisico, relazionale e corporeo. Abbiamo visto come l’adolescente debba separarsi dal gruppo della famiglia, per individuarsi e per ricercare la propria identità e abbiamo anche accennato alla modalità di pensiero che, in questa fase, subisce un cambiamento e un passaggio dall’essere concreto all’essere astratto, cioè ricco di possibilità, ipotesi e dubbi.
In tutta questa fase di cambiamento, il gruppo ha una funzione fondamentale: il gruppo diviene “facilitatore” del processo di separazione-individuazione, in quanto il gruppo rappresenta un possibile dispositivo in grado di trasformare l’azione in pensiero, parola, simbolo; oltre ad essere un mediatore tra le necessità individuali e quelle della società.
Il gruppo per l’adolescente si identifica quindi come un’area “transizionale” per il passaggio dall’infanzia all’età adulta: nel distacco dalla famiglia il gruppo, con le sue regole, da l’appoggio necessario per superare la frammentazione e la confusione divenendo quindi essenziale per la vita psicologica dell’individuo, dell’adolescente in questo caso. In tale passaggio, che presenta ostacoli e difficoltà, i coetanei possono rappresentare un sostegno morale contro le incomprensioni degli adulti.
Da un punto di vista psichico quindi, il gruppo assolve a una molteplicità di compiti:
– rafforza i processi di identificazione di separazione individuazione, convalidando l’identità personale dell’adolescente alla ricerca di un più stabile ruolo sociale;
– accresce la capacità di comprensione del modo di pensare e agire;
– dà maggiore chiarezza nella percezioni di sé, degli altri e delle relazioni con gli altri;
– rassicura l’adolescente in quanto lo rende consapevole che anche gli altri possono avere un problema analogo al suo (per così dire la sensazione di condividere un “male comune”);
– consente di ascoltare opinioni e soluzioni diverse da quelle delle adottate;
– aumenta l’autostima e la sicurezza in se stessi in quanto fa emergere la percezione di fare qualcosa per sé e per gli altri. In particolare quest’ultimo punto è dimostrato anche da numerose ricerche che studiano come le buone relazioni con i coetanei e la percezione della propria autostima siano concetti inseparabili.
Il gruppo dei coetanei diviene quindi un punto di riferimento stabile e indispensabile per la crescita.
L’appartenenza ad un gruppo, di qualunque tipologia esso sia, nasce dal bisogno di affiliazione che è dato dall’esigenza di trovare supporto, condivisione e approvazione.
Tutto ciò diventa, in seguito, un vero e proprio bisogno di appartenenza che porta alla scelta selettiva del gruppo da frequentare in base ai valori che meglio si combinano con i propri e con l’immagine di sé che l’adolescente sta costruendo.
Stare in gruppo però, non è sempre facile, né porta ogni volta ad un esito positivo: infatti, il gruppo, oltre alle funzioni positive, citate precedentemente, può essere fonte di disagio e devianza.
Il gruppo dei pari può diventare, infatti, ricettacolo degli aspetti più fragili della personalità, che possono portare al compimento di atti aggressivi finalizzati allo scarico della tensione interna.
In questi casi il gruppo, che viene chiamato dagli studiosi anche “branco”, perde ogni dimensione “adulta”, ogni accenno ai valori che l’adulto cerca di trasmettere. Il branco infatti si costituisce come sorta di avversario all’adulto assumendosi lui stesso la presunzione di essere il maggiore livello possibile di maturità. Qui avviene anche una negazione delle differenze individuali dei componenti e si verifica quel fenomeno di illusione patologica che consiste nel credere che ci sia coincidenza tra le attese dei singoli e la soddisfazione dell’intero gruppo; il bene del gruppo diviene così più importante di quello individuale con il rischio di arrivare ad una sorta di annullamento del singolo ragazzo all’intero della dimensione gruppale. In questi casi di devianza il gruppo “funziona” come una mente sola che guida un corpo solo verso un unico obiettivo che non tiene in considerazione altri punti di vista.
Mentre il gruppo sano è organizzato per estinguersi a favore del processo di soggettivazione e di crescita individuale, il branco è fondato sulla fedeltà e sulla dipendenza.
Solitamente i gruppi di adolescenti violenti e che si riuniscono in branco, sono costituiti da giovani che hanno storie personali e familiari traumatiche non elaborate: separazioni precoci dai genitori, abbandoni, lutti, abusi e maltrattamenti nei casi più gravi o comunque situazioni di scarsa socialità, emarginazione, scarse aspettative di successo e bassa autostima. In questi casi l’assenza di valori familiari significativi e di riconoscimento da parte della famiglia e degli adulti di riferimento, porta l’adolescente a cercare questo riconoscimento all’interno del branco. Spesso parallelamente agli atteggiamenti violenti si innesta una deresponsabilizzazione dei propri atti, secondo una logica del tipo “se si è in gruppo si è meno colpevoli”.
È chiaro che alla base ci sono una grande superficialità nei rapporti interpersonali e gravi lacune educative che portano il giovane a non essere in grado di prevedere completamente la gravità delle proprie azioni. Provare emozioni forti e rischiose solitamente rispecchia un modo per i giovani di ricercare una propria identità sia per sè stessi sia agli occhi dei pari e della società. Il gruppo, infatti, assolve un’importante funzione: è lo specchio delle proprie immagini, la conferma del sé e talvolta, oltre al bisogno di appartenenza, emerge il bisogno di identificarsi in un leader patologico che rappresenti le parti sofferenti del sé.
[contributo della dr.ssa Alessandra Guerrieri, Psicologa e Psicoterapeuta]