Il mese scorso siamo rimasti sconvolti dai fatti di cronaca che parlavano della relazione tra uso dei dispositivi digitali e dei rischi per la salute e la vita delle nuove generazioni.
Di fronte alla tragedia nascono domande, interrogativi, accuse, discussioni.
Le scienze che si occupano di educazione possono aiutarci come adulti, a riflettere sulle responsabilità in gioco.
In qualità di pedagogista proverò a tracciare alcune riflessioni intorno alle questioni educative.
Qualche giorno fa ascoltavo una conferenza del prof. Umberto Galimberti, insigne filosofo e psicanalista italiano, e mi sono trovata in disaccordo riguardo ad una sua affermazione. Probabilmente in tono provocatorio, raccontava della sua risposta ad una mamma che gli chiedeva consiglio rispetto all’uso dello smartphone per il figlio di circa 8 anni. Il nostro Professore rispondeva, che non offrire questa opportunità, quindi rifiutarsi di far utilizzare il dispositivo al bambino, significava escludere il bambino dalla possibilità di avere relazioni sociali.
Certamente l’intento era provocatorio, ma in qualche modo si allinea al pensiero comune e diffuso: siamo nell’era digitale, quindi sarebbe dannoso tenere le nuove generazioni lontane dall’esperienza del mondo virtuale.
Partiamo dallo sfatare un mito: quello dei nativi digitali, almeno nel senso letterale del termine. Non esistono dei geni che ci predispongono all’uso dei dispositivi digitali.
Quello che possiamo dire è che oggi i bambini e le bambine nascono immersi nel mondo digitale e che fin da piccolissimi hanno come modello, adulti che interagiscono con esso quotidianamente. Questa esperienza precoce li agevola nell’apprendimento dell’uso concreto degli strumenti, e di questo siamo testimoni quasi ogni giorno dal vivo o sui social, quando ci stupiamo della dimestichezza con la quale si approcciano ai dispositivi. Ma questa competenza pratica, operativa, non corrisponde alla capacità consapevole di utilizzare tale strumenti, manca la consapevolezza critica.
Un’altra questione da considerare è che siamo passati da una situazione in cui non c’era una necessità impellente di fruizione dei dispositivi digitali, ad una in cui non se ne può fare a meno a causa della pandemia da Covid 19. Pensate alla pratica della DAD in caso di chiusura delle scuole, ma anche a tutte quelle situazioni in cui, durante la chiusura totale o parziale, per mantenere i legami più stretti, utilizziamo i dispositivi per le video chiamate.
Visti i tempi potremmo pensare di chiudere il discorso dicendo che allora va bene tutto? Lasciamo che i nostri figli possano accedere ad un uso indiscriminato della tecnologia?
Ecco che ci può venire in aiuto la pedagogia, che in quanto scienza pratica, ci invita ad assumerci responsabilità in qualità di adulti con ruoli educativi, e ci invita a farci le domande giuste in termini educativi.
A quali bisogni psicoevolutivi dovrebbero rispondere le esperienze di crescita che proponiamo ai nostri figli e alle nostre figlie?
Per conoscere quali sono i bisogni è necessario distinguere le diverse fasi della crescita.
Partiamo dall’infanzia e dalla fanciullezza: il periodo che va all’incirca dalla nascita ai 10 anni. In questo periodo i bambini e le bambine hanno necessità di fare esperienze concrete, pratiche che coinvolgono il corpo, i sensi, le mani e non solo le dita per far scorrere uno schermo.
E quando arriviamo in preadolescenza e adolescenza?
I bisogni cambiano, gli adolescenti seguono la spinta a separarsi dai genitori, dalla famiglia, per fare esperienza del mondo, se per i bambini la figura dell’adulto è cruciale, perché permette di orientare l’esperienza, per i ragazzi e le ragazze, è il gruppo dei pari che occupa la sfera emotiva, sono i compagni che permettono il rispecchiamento.
Un terzo elemento da tenere in considerazione e che ci aiuta ad orientarci nelle scelte educative è quello della conoscenza dei rischi connessi all’esperienza con il mondo digitale, che a ben guardare, può riguardare anche gli adulti.
La differenza tra bambini, ragazzi e adulti riguarda la capacità di accesso critico e consapevole, che nei soggetti in crescita non ha completato il suo sviluppo e quindi vede la necessità di un intervento che regolamenti l’utilizzo e la fruizione dell’esperienza digitale. Servono regole educative.
Dr.ssa Lorenza Comi, Pedagogista, Esperta in relazioni famigliari e Formatrice Territoriale del Metodo Litigare Bene di D. Novara. Appassionata di Albi Illustrati