Quando un grave evento colpisce la collettività si viene a creare una condizione di elevata emotività che riguarda non solo il singolo, ma l’intera comunità.
L’evento critico può causare reazioni emotive particolarmente intense, tali da poter interferire con le capacità di funzionare sia durante che dopo l’esposizione all’evento. Flashback, evitamento, attivazione psicofisiologica e umore depresso sono alcune delle reazioni tipiche a cui abbiamo assistito durante la prima fase della pandemia. L’elevato numero di contagi, la mortalità e il sovraccarico delle strutture sanitarie ha portato molte persone, operatori sociosanitari e interi territori a confrontarsi con la malattia, il lutto e l’incertezza.
Tuttavia è la seconda ondata quella che sta mettendo più a dura prova la maggior parte dei cittadini, sia dal punto di vista emotivo, che psicologico. Mentre a marzo l’emergenza (e quindi il trauma) la si è affrontata con la speranza che se ne potesse uscire nel giro di breve tempo; oggi si assiste di più ad un perpetuarsi ed ad un cronicizzarsi del trauma, e quindi ad una vera e propria emergenza emotiva, a fianco di quella sanitaria. Ansia, panico, paura, senso di impotenza e di smarrimento, angoscia, inquietudine: queste sono le emozioni più comuni di questo momento, che, assieme alla mancanza di progettualità e prevedibilità, hanno fatto si che molte persone si siano aggravate e molte altre abbiano iniziato ex-novo a manifestare disagi emotivi e malessere psicologico.
Oggi incontriamo persone che non riescono più ad uscire di casa; che hanno sviluppato delle vere e proprie fobie; che temono la fine dello smart working e la ripresa di relazioni sociali “normali”; c’è chi è entrato in crisi col partner e chi teme di non poter più avere un partner; c’è chi sta manifestando sintomi di ansia, depressione o dipendenza (da alcool, droga, cibo, social network, ecc…) e chi rimuove e nega il pericolo, minimizzando tutto e mettendo in atto comportamenti antisociali.
Le prime ricerche, condotte in paesi come la Germania e la Gran Bretagna, mostrano come la pandemia ha acuito le differenze negli stili di vita delle persone e la fascia di età che riscontra le maggiori difficoltà in termini psicologici è quella che va dai 20 ai 40 anni, e tra questi le donne sono quelle maggiormente in affanno. Il vero problema però è che gli individui fanno fatica ad associare la loro forma di sofferenza alle condizioni generali prodotte dalla pandemia. Si pensa infatti che tali forme di malessere siano prerogativa solo di chi è esposto in prima linea (quindi medici, infermieri, operatori sanitari, ecc….) o di chi ha vissuto il Covid sulla sua pelle o in famiglia. Per tutti gli altri la pandemia resta un fatto lontano, qualcosa che non li interessa nel vivo, ma che però condiziona (e stressa) in negativo la quotidianità della propria vita.
Tutti gli specialisti concordano sulla necessità di non trascurare i sintomi e di predisporre forme di assistenza territoriale su più livelli. Se i sintomi vengono infatti trattati con un supporto psicologico adeguato e tempestivo, tendono a rientrare nel giro di poco tempo, non sviluppando così dei disturbi psicopatologici più gravi.
A CasaMedica è attivo, dallo scorso marzo, uno sportello gratuito rivolto ad operatori sociosanitari impegnati in prima linea nella lotta contro la pandemia e a tutti coloro che direttamente o indirettamente stanno subendo questa seconda fase, manifestando sintomi di malessere psicologico a diversi livelli.
A chi rivolgersi?
Alla dr.ssa Marta Corbetta, psicologa e psicoterapeuta, specializzata in Psicoterapia Cognitiva e Cognitivo-Comportamentale. Esperta di EMDR.