Nel corso delle visite, il co-sleeping e il sonno in generale, sono un tema spesso caldo, soprattutto nelle mamme di bambini da 0 a 3 anni.
Il sonno è molto importante per i bambini e per i genitori, e se si presenta in maniera molto diversa dall’aspettativa che ci siamo creati o non riusciamo a mettere in relazione le nostre esigenze di genitori con quelle dei nostri bambini, diventa facilmente “un incubo”.
Se i bimbi sono inquieti e il sonno di tutta la famiglia è in seria difficoltà ci piacerebbe avere delle ricette semplici, rapide, anche drastiche, per avere presto una soluzione.
Ma nulla come il sonno per un bambino è un elemento che sfugge a ricette e semplificazioni: risente del clima della famiglia e delle caratteristiche dei sui componenti, del carattere e del temperamento del bambino, delle fasi di crescita e di cambiamento e di vari malesseri del corpo e della mente, di paure nuove e ancestrali.
Perciò non esistono ricette, quello che possiamo fare è metterci in ascolto, osservare ed entrare in relazione, per trovare la strada giusta per ogni bambino e ogni famiglia.
A tal proposito parliamo di co-sleeping, parola nuova ma che definisce un’abitudine da sempre presente nelle popolazioni di tutto il mondo.
Co-sleeping ovvero dormire coi i bambini nella stessa stanza in letti vicini o nello stesso letto (bed sharing).
Si tratta di un tema molto controverso, sia nelle chiacchiere tra le mamme, che nel confronto tra generazioni (con i nonni e i parenti) tanto che se n’è occupata anche la letteratura medica.
Il dormire insieme è normale nei primati e in molti popoli del mondo, soprattutto in quelli meno occidentalizzati, ma non per questo sono tra i popoli più primitivi: ad esempio è la norma in un paese modernissimo come il Giappone.
Partiamo da una certezza: il sonno nella stessa stanza è sempre e sicuramente promosso almeno nel primo anno di vita anche dall’American Academy of Pediatrics per ridurre il rischio di SIDS (morte infantile in culla). Si è riscontrata una riduzione del rischio di SIDS del 50%. Il sonno “in prossimità” permette un miglior monitoraggio del bambino, ma promuove a catena altre buone pratiche: facilita e favorisce l’allattamento al seno, che ha un ruolo protettivo sulla SIDS di per se e favorisce l’attaccamento tra bambino e caregiver, importante mattone della “sicurezza” futura del nostro bambino.
Ma il co-sleeping può essere pericoloso?
Le raccomandazioni per ridurre il rischio di SIDS sono di far dormire il bambino su una superficie piatta e rigida, di non coprire il capo con coperte, di non avere temperatura troppo elevata.
Perciò è bene non dormire con i bambini su un letto ad acqua, o su divani e poltrone, ma in letti normali. Inoltre è meglio evitare eccesso di coperte pesanti e regolare la temperatura nella stanza, di solito attorno ai 18-20°C.
La condivisione del letto (ma non della stanza) è invece sconsigliata per i genitori che fumano (aumento del rischio SIDS) o con importante obesità (rischio di soffocamento). È controindicato nei genitori che assumono farmaci che possono alterare il sonno o dediti alle droghe.
Ma dormendo insieme da subito “lo vizio” e sono la causa dei suoi problemi del sonno?
La letteratura medica ci viene in aiuto su questo tema ed evidenza che non ci sono problemi comportamentali generali nei co-sleepers.
Il sonno e i ritmi del sonno (sonno profondo, risvegli fisiologici) sono gli stessi soprattutto nei primi anni di vita, anche se la percezione dei genitori è molto diversa.
Se si tratta di lattanti (minori di un anno), verso i 3 anni avranno la stessa probabilità degli altri bambini di dormire ancora nel lettone; se invece il co-sleeping inizia verso la fine del primo anno, magari in risposta a “problemi di sonno” è più probabile che continui anche nella seconda infanzia (proprio per la persistenza dei problemi di sonno).
I bambini che per cultura dormono abitualmente tutte le notti con i genitori non presentano disturbi del sonno a distanza e forse mostrano aumentate competenze cognitive a 6 anni.
Dormire in un lettone tutti insieme allora è una ricetta magica per tutti?
Purtroppo no: pur riducendo l’ansia da separazione, dando sicurezza e facilitando l’allattamento e le cure soprattutto nei bambini più piccoli, la condivisione del letto non è sempre la scelta giusta. Alcuni bambini sono disturbati dell’eccessiva vicinanza dei genitori e viceversa.
Cosa scegliere come genitori?
Come pediatra mi sento di consigliare la condivisione della stanza a tutti fino all’anno di vita. Per il resto il livello di prossimità che ci sentiamo di tenere dipenderà da noi, dalle nostre abitudini, dal nostro bambino, in una continua danza di ascolto ed aggiustamenti. Senza partire dal pregiudizio, restiamo aperti al cambiamento e all’adattamento.
Ci saranno fasi e periodi, andate e ritorni, sia con lo stesso bambino che ad esempio anche nella stessa famiglia con figli diversi, che ci mostreranno la loro meravigliosa individualità e metteranno alla prova le nostre certezze.
Dr.ssa Valentina Tono, pediatra.