L’esperienza del dolore non è una semplice reazione di causa-effetto tra corpo e cervello, ma è una rete complessa di sensazioni corporee, aspetti cognitivi, emotivi e relazionali assolutamente individuali.
Il dolore è forse l’esperienza soggettiva più difficile da spiegare. Tanti hanno provato a definirlo ma pochi hanno colto nel segno.
Si parla di dolore cronico quando questo si protrae nel tempo, perdendo la sua funzione di allarme e protezione per il soggetto, assumendo quindi le connotazioni di un malessere generale che compromette la qualità di vita della persona.
Molti fattori concorrono ad influenzarlo. Vediamone alcuni di questi.
Il primo fra questi è dato dalle esperienze negative vissute durante l’infanzia (genitori o familiari con malattie, esperienze traumatiche, attaccamenti insicuri, abusi…). Si è visto come queste esperienze contribuiscano allo sviluppo di un comportamento somatizzante in età adulta (ovvero alla tendenza a somatizzare sul corpo disagi e problematiche emotive).
Il secondo fattore è dato dalle caratteristiche individuali. Molte ricerche in ambito psicologico hanno rilevato come, in particolare, la tendenza alla catastrofizzazione, intesa come la tendenza a valutare il significato di un evento in maniera eccessivamente peggiore di quanto si dovrebbe, sia uno dei fattori che maggiormente influenza la percezione del dolore. Tanto più si vede “nero”, tanto più l’esperienza di dolore si intensifica.
Il terzo fattore è rappresentato dalla genetica. Il dolore può essere considerato il “senso” più ancestrale di cui dispone il nostro sistema per interfacciarsi con l’ambiente, ed è il più importante perché ci permette di preservare la nostra integrità. Quando sentiamo dolore, il sistema omeostatico si attiva per fuggire dalla fonte dello stimolo nocivo.
La nostra percezione del dolore è inoltre influenzata dalla nostra interpretazione e valutazione (il quarto fattore). Ovvero dal significato che vi attribuiamo e dalla gravità che percepiamo; e questo è alla base delle emozioni che sperimentiamo.
Quando proviamo dolore, soprattutto a livello cronico, il sintomo che più spesso vi si associa è l’ansia. Paura ed ansia portano la persona ad anticipare il dolore che proverà, esasperando di conseguenza la sensazione. Inoltre, l’ansia anticipatoria correlata al dolore, può portare a gravi livelli di disabilità, poiché conduce all’evitamento di tutte quelle situazioni e luoghi (anche lavorativi e scolastici) dove il soggetto ha sperimentato dolore.
La depressione è forse il sintomo più comune; secondo la letteratura essa è presente in una percentuale che varia tra il 40% e il 50% nelle persone che soffrono di dolore cronico. Tuttavia, non sembra essere tanto la sensazione dolorifica in sé a generare lo stato depressivo, quanto le difficoltà nel farvi fronte e le ricadute sulla vita quotidiana. Ancora una volta non è la sensazione dolorifica a determinare una disfunzionalità quanto l’esperienza di dolore in generale.
Infine, insieme all’ansia e alla depressione troviamo anche la rabbia, che nell’individuo con sofferenza cronica di solito viene repressa, o negata, in quanto non socialmente accettata.
Le statistiche sanitarie confermano da tempo che la donna, rispetto all’uomo, soffre in misura maggiore di sindromi dolorose, sia acute che croniche, per periodi più lunghi e con maggior intensità (es. cefalea tensiva o artrosi). A queste si aggiungo alcune sindromi specifiche del sesso, come ad esempio: la dismenorrea, l’endometriosi, la vulvodinia, la fibromialgia e il dolore pelvico cronico. A questa particolare predisposizione biologica, però, non sempre corrisponde un’adeguata attenzione da parte dell’ambito sanitario e di conseguenza un accurato intervento.
Il trattamento del dolore cronico, perché sia efficace, dovrebbe dunque generalmente includere un approccio multispecialistico integrato, che non si limiti quindi ad una presa in carico puramente medico-somatica, ma che includa anche la valutazione e il trattamento dei fattori psicologici.
Uno dei primi interventi che si fanno in psicoterapia si basa sul riconoscimento corporeo del dolore e sullo sviluppo della consapevolezza di come si pensa, si sente e si agisce in funzione di esso. Successivamente si lavora sul cambiamento di quei circoli viziosi che mantengono l’esperienza di dolore, aiutando la persona a comprendere come la propria risposta e l’interpretazione della percezione sintomatologica possano far la differenza nel vivere la sofferenza. Ed infine si utilizzano tecniche corporee di controllo del dolore (rilassamento, training autogeno, mindfulness, Emdr) per far si che la persona possa, non tanto eliminare l’esperienza dolorifica, quanto possa disporre delle necessarie abilità per fronteggiarla con maggior efficacia.
Dr.ssa Marta Corbetta, psicologa e psicoterapeuta.