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Psicologia

Quando un figlio non arriva: il risvolto psicologico dell’infertilità

Il desiderio di avere un bambino è il risultato di un processo evolutivo ed esistenziale dell’individuo che si genera e prende forma nel tempo in relazione a molteplici fattori personali, relazionali e culturali (età, condizione socio-economica, situazione relazionale, realizzazione personale, ecc). Quando questo desiderio non si realizza naturalmente  il dolore può essere tale da provocare profonde ferite sia nella singola persona che all’interno della coppia. Per molte persone infatti il desiderio di diventare genitore si inserisce all’interno della più ampia definizione della propria identità, e per moltissime coppie avere un figlio rappresenta uno dei principali fondamenti della loro unione, costituendo una tappa essenziale della relazione.

Al di là delle cause che stanno alla base dell’infertilità e delle possibili tecniche di procreazione messe in atto, entrambi temi di enorme rilievo, ciò su cui si vuole spostare l’attenzione in questa sede è l’area delle componenti psicologiche ed emozionali legate alla difficoltà a concepire perché il vissuto intrapsichico e le dinamiche interne all’individuo e alla coppia, sono aspetti basilari che pervadono l’esperienza attraversata e inevitabilmente incidono sul modo di affrontarla e sulle eventuali successive decisioni e azioni concrete.

Le risposte emotive all’infertilità all’interno della coppia sono diverse: dalla sorpresa e incredulità alla rabbia, dal senso di colpa alla depressione.

Una delle principali sensazioni provate è quella della solitudine accompagnata ad una tendenza all’isolamento: la coppia appena apprende la propria difficoltà si sente sola e tradita dal proprio corpo, pensa di essere l’unica a non poter intraprendere il progetto desiderato e ha la percezione di non essere compresa nella sua desolazione.

Oltre ai risvolti personali che colpiscono individualmente la donna e l’uomo coinvolti, forti sono le ripercussioni sulla coppia che viene spesso compromessa nella sua intimità e complicità. La vita sessuale che fino a tempo prima definiva uno spazio di libertà, naturalezza e soddisfazione, rischia di rappresentare un evento ansioso, denso di aspettative e sempre meno spontaneo.

In alcuni casi, quando il coinvolgimento è molto elevato e la nascita di un figlio acquisisce il principale senso della propria vita, il livello di frustrazione può essere tale da minare il legame interno alla coppia fino a portare ad una separazione, non riuscendo a trovare soluzione e non sapendo superare il lutto della mancata possibilità di procreare.

Se la nascita biologica di un bambino coincide, in primissima istanza con il concepimento, e poi concretamente con il parto, la nascita psicologica di un figlio e, di conseguenza del suo genitore, è qualcosa che avviene molto prima. Anche quando ancora non lo si desidera davvero, anche quando non è vi ancora l’intenzione di avere un figlio, può succedere che l’individuo, e in particolare la donna, possa immaginarsi mamma, possa generare dei pensieri, sognare e fantasticare sulla sua maternità. Si tratta di una parte di sé attesa, proiettata nel futuro, non ancora reale ma possibilmente realizzabile.

Quando però questa immagine di sé, che più volte ha preso forma nella mente, non riesce a concretizzarsi, la grande fatica è quella di reagire alla delusione e rimettersi in gioco, ricercando nuovi scenari. L’impossibilità di procreare rappresenta in moltissimi casi una vera e propria crisi di vita, attraversata da vissuti di vergogna, incapacità ed impotenza; ed è proprio per queste particolari sensazioni e per il dolore che esse generano, che un intervento psicologico può rivelarsi fondamentale per lavorare sul riconoscimento e sull’accettazione dei sentimenti negativi provati, come l’angoscia e la disperazione, e per aiutare la persona a meglio comprendere il significato della sua sofferenza, restituendole un’immagine di sé più ampia e integra e non solo connessa all’infertilità.

Travolta dal dramma che vive, una donna può attribuire il valore della propria felicità nel vedersi unicamente come madre e pensare che la propria vita non potrà avere un senso soddisfacente senza tale realizzazione; l’immagine di sé minata da quell’area di vita che, per motivi che non dipendono da lei, non può essere percorsa e coltivata, almeno non in modo naturale, rischia di amplificarsi e di diventare così totalizzante da impedire di percepire se stessa in tutte le altre sue caratteristiche.

In questo frangente un percorso di psicoterapia può accompagnare la persona ad uscire dalla esclusiva e isolata visione del ruolo materno e a ritrovare la capacità di riconoscersi come donna, figlia, professionista, compagna, amica.. restituendole una rappresentazione di sé più completa e articolata e facendole vedere ciò che lei è e non solo quello che, almeno per il momento, non può essere.

Dr.ssa Alessandra Guerrieri, psicologa e psicoterapeuta.