Questo mese continuiamo a parlare di adolescenza ed in particolare della comunicazione con l’adolescente.
Da un punto di vista psicologico possiamo sintetizzare i principali processi trasformativi dell’adolescente su due assi: l’asse narcisistico, che rappresenta il senso di identità dell’adolescente e che si traduce nell’interrogativo “chi sono?”, una tra le domande più frequenti che l’adolescente si pone nella continua ricerca della propria identità; e l’asse pulsionale che racchiude l’insieme delle pulsioni e dei bisogni legati agli oggetti esterni: così come avviene nella prima infanzia, quando il bambino inizia a fare i conti con le proprie pulsioni e a riconoscere gli oggetti esterni, anche nell’adolescenza si verifica una nuova nascita pulsionale che rimette in discussione quell’equilibrio fin lì trovato e ricerca nuovi contatti con gli oggetti del mondo esterno.
Ma come si traduce questa serie di cambiamenti a livello della comunicazione?
La comunicazione con l’adolescente è caratterizzata più dall’atto che dal linguaggio, nel senso che con gli adolescenti assistiamo più a lunghi silenzi che ad articolate discussioni. Questi silenzi però non sono silenzi neutri ma sono silenzi carichi di messaggi comunicativi. Basta pensare ai gesti, all’abbigliamento, alle smorfie, a certe abitudini e rituali, solo per indicarne alcuni.
Ma perché è così difficile per gli adolescenti comunicare con le parole?
Non sempre è così ma dobbiamo pensare che alla base della comunicazione verbale c’è un pensiero che, da semplice riflessione interna, viene elaborato e reso condivisibile con l’interlocutore che ci sta di fronte. Lo sviluppo e le trasformazioni cognitive che avvengono nell’adolescenza creano un’instabilità e un’incertezza tali da rendere il ragazzo timoroso dei propri pensieri.
A livello del pensiero infatti emerge una nuova modalità che Piaget definisce “pensiero operatorio formale” o “pensiero alla seconda potenza”. Si tratta di una “modalità cognitiva caratterizzata da due proprietà principali: la possibilità di riflettere sul proprio pensiero e il capovolgimento del rapporto tra il reale e il possibile, nel senso che la realtà è subordinata al possibile. Il formarsi delle nuove potenzialità consente di superare il concreto, l’attuale per raggiungere l’astratto e il possibile, consente di costruire teorie e di elaborare progetti di vita” (Senise).
Si assiste infatti alla formazione di un pensiero che si basa su due caratteristiche fondamentali:
- La possibilità di fare riflessioni sui propri pensieri
- Il capovolgimento del rapporto tra ciò che è reale e ciò che è possibile
Il pensiero cioè si sgancia dai dati concreti e reali e inizia a ragionare per ipotesi, deduzioni, immaginazioni; inizia a diventare ASTRATTO, formulando teorie e progetti e provando a fare delle verifiche per vedere quale delle ipotesi è la più adatta.
In questo modo la realtà diventa una delle opzioni esistenti, una delle possibili concretizzazioni delle alternative pensabili. La realtà non è più l’unica fonte dei propri atti di coscienza.
In questo continuo tentativo di passare dal concreto all’astratto, cioè al possibile e al pensabile, l’adolescente che si sente spaesato in questa nuova modalità che emerge, trova nelle azioni non solo uno strumento per scaricare le proprie pulsioni, ma anche la possibilità di rendere le azioni stesse una sorta di ponte per rendere pensabile l’agito. In sintesi l’adolescente prima di pensare ad una possibile situazioni, ha bisogno di viverla, di renderla concreta, di agirla.
Quante volte è capitato di dire ad un ragazzo adolescente “pensa prima di fare una cosa!”; ecco, è proprio qui che si sviluppa questo meccanismo.
Siamo di fronte ad un’intelligenza che cresce, in un corpo che cresce ma con un bagaglio di esperienza ancora limitato e inadeguato.
E, a proposito di corpo che cresce, anche i cambiamenti fisici che avvengono durante questo periodo incidono non poco sulla relazione con l’adolescente. Abbiamo infatti a che fare con tutta una serie di “comunicazioni corporee” tali da rendere il corpo dell’adolescente un mezzo per esprimersi poiché, intriso di cambiamenti e mutamenti fisici visibili e percepibili all’esterno, diventa il migliore rappresentante delle modifiche che avvengono all’interno e che non sempre sono visibili, talvolta nemmeno all’adolescente stesso che sta imparando a scoprirle e riconoscerle.
[contributo della dr.ssa Alessandra Guerrieri, Psicologa e Psicoterapeuta]