Alle donne in travaglio dovrebbe essere concesso più tempo per partorire, ricevere meno interventi medici e partecipare in modo consapevole alle decisioni prese. Queste alcune delle affermazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a Ginevra, lo scorso febbraio 2018.
Tra le 26 nuove raccomandazioni, l’OMS ha respinto il tradizionale punto fermo in tutto il mondo per cui la dilatazione del collo dell’utero deve essere di 1cm all’ora. Per spiegare: se una donna in travaglio ha una dilatazione del collo dell’utero inferiore a 1cm all’ora, di solito, vengono messi in atto dei presidi per accelerare il travaglio, come la rottura delle acque e la somministrazione della ossitocina. L’OMS sostiene che questa soglia del centimetro/ora non sia realistica e che porti ad un eccesso di tagli cesarei.
“Quello che sta succedendo negli ultimi 20 anni è che stiamo registrando più interventi non necessari”, ha detto il Dr Olufemi Oladapo, medico nel dipartimento della salute riproduttiva e della ricerca dell’OMS, riferendosi ad esempio a tagli cesarei e iniezione intravenosa di ossitocina, un ormone che provoca le contrazioni dell’utero.
Negli anni 50, Emanuel Friedman, un ostetrico americano, studiò la progressione del travaglio e scrisse linee guida per cui la dilatazione del collo dell’utero sarebbe dovuta essere di 1 cm all’ora. La ricerca negli ultimi 15 anni, incluso uno studio dell’OMS di 10.000 donne in Nigeria e Uganda, ha mostrato come la velocità di progressione del travaglio può essere più lenta, senza mettere a rischio la salute della mamma e del bambino.
Ogni donna è unica e può avere un travaglio più lento ma nonostante ciò un parto vaginale fisiologico.
Non è un ambito per cui one-size-fits-all.
“Una soglia migliore è quella dei 5cm di dilatazione nelle prime 12 ore di travaglio per una donna al primo figlio e 10 ore nelle pluripare”, dice l’OMS. Ovviamente monitorando costantemente il benessere di madre e bambino.
Sempre secondo l’OMS, i tagli cesarei non dovrebbero mai superare il 10-15% (in uno stato e più nello specifico in una struttura ospedaliera). Questa è una soglia sicura per garantire la salute di mamma e bambino.
Ma allora come affrontare travagli lunghi?
Le donne dovrebbero poter scegliere ed essere incoraggiate ad assumere posizioni più confortevoli per loro durante il travaglio e dovrebbe essere offerta loro tutta l’assistenza one-to-one necessaria ad alleviare il dolore, la possibilità di avere una persona di fiducia accanto e la libertà di essere protagoniste della propria nascita.
“È necessario creare situazioni in cui le donne possano scegliere in maniera infornata e possano essere coinvolte nella decision-making”, ha detto Oladapo.
Ogni donna dovrebbe poter avere tutte le informazioni necessarie per essere in grado di scegliere il luogo del parto più idoneo per lei (non tutte le realtà offrono gli stessi servizi).
E’ fondamentale che le donne in gravidanza riportino l’attenzione verso i loro bisogni e l’ascolto del proprio bambino/a. La crescente medicalizzazione dei normali processi del parto sta minando la capacità di una donna di dare alla luce un figlio naturalmente.
Se la donna viene messa a conoscenza e in ascolto delle proprie risorse ritrova in se stessa gli strumenti necessari per affrontare il travaglio. Strumenti come movimento libero, utilizzo dell’acqua, massaggi permettono alle donne di vivere la nascita con più consapevolezza e con minor dolore.
Da dove partire?
Dalla scelta iniziale di essere accompagnati durante la gravidanza da professionisti che dedicano tempo ed un ascolto attivo rispettando la salute della nuova famiglia.
Contributo della dr.ssa Chiara Marra, Medico Chirurgo Specialista in Ginecologia ed Ostetricia e della dr.ssa Silvia Ghitti, Ostetrica.